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Dakar, Auto: Peterhasel ha battuto Al-Attiyah con la pazienza

Terminata la 43esima edizione della Dakar 2021, andiamo ad analizzare quanto accaduto nella categoria Auto che ha visto prevalere Stéphane Peterhansel (MINI) dopo un bel duello con Nasser Al-Attiyah (Toyota).

#302 X-Raid Mini JCW Team: Stéphane Peterhansel, Edouard Boulanger

#302 X-Raid Mini JCW Team: Stéphane Peterhansel, Edouard Boulanger

A.S.O.

Nasser Al-Attiyah è stato il pilota che ha vinto più tappe alla Dakar 2021. Il qatariota del team Toyota Gazoo Racing ha centrato 6 successi sulle 12 prove complessive che hanno composto il percorso della 43esima edizione del rally raid più celebre al mondo. Dunque ha vinto il 50% di prove. Stéphane Peterhansel, invece, ha trionfato in una sola tappa, la nona, partita e arrivata a Neom.

Risultato finale? Stéphane Peterhansel ha vinto per la 14esima volta in carriera la Dakar, mentre Nasser Al-Attiyah si è dovuto accontentare della piazza d'onore, la seconda posizione, sebbene sia stato il vero mattatore della gara, l'uomo più vincente, quello che non si è risparmiato in alcun caso. La punta di diamante del team Toyota Gazoo Racing South Africa ha chiuso la corsa staccato di 13'51", chiara fotografia delle gare che i due contendenti al successo hanno compiuto nelle 2 settimane di gara.

Con 2 piloti così esperti posti uno contro l'altro dal tempo, dai rispettivi team e, soprattutto, dalle ambizioni, a fare la differenza è stato l'approccio adottato dai due che, va detto, è stato diametralmente opposto sin dal Prologo. Al-Attiyah è andato subito all'attacco, conscio dei reali limiti delle Toyota Hilux (vettura straordinaria, sia chiaro) su alcuni fondi, soprattutto quelli che presentavano rocce insidiose per le gomme delle vetture 4x4.

 

Peterhansel, invece, ha deciso di non farsi vedere. Essere praticamente invisibile, però, non significa non esserci. Anzi. Significa poter attuare la propria strategia senza dare nell'occhio, senza che i propri avversari abbiano la reale percezione di ciò che si sta facendo, di ciò che si sta progettando e attuando. E' accaduto proprio questo nel corso dei 12 giorni.

Quando Al-Attiyah ha capito di trovarsi di fronte a un Peterhansel calcolatore e non desideroso di portare a casa stupende ma a conti fatti effimere vittorie di tappa se il bottino grosso non si porta a casa, è stato troppo tardi. Peterhansel ha gestito per gran parte della corsa e questo ha permesso a lui e al navigatore Boulanger di prendersi solo i giusti rischi. Di attaccare poco, in maniera mirata, usando pazienza, limitando al minimo le possibilità di errore per quanto si possa farlo in una gara dalle mille insidie qual è la Dakar.

Al-Attiyah ha perso la gara nella prima settimana

 

A conti fatti, Stéphane Peterhansel ha preso la leadership della gara a partire dalla Tappa 3 per poi non lasciarla più. E' lecito dunque affermare che Al-Attiyah abbia perso la gara proprio nelle battute iniziali? Sembra proprio di sì. Al-Attiyah ha attaccato sin dal Prologo, che in questa 43esima Dakar è stato ritenuto valido per la classifica generale. Eppure, proprio quella scelta gli è stata fatale.

Partire davanti nelle prime tappe e, più in generale, in così tante tappe come ha fatto il qatariota per via delle tante vittorie si speciale non si è rivelata la scelta giusta. Con un roadbook e un sistema di navigazione così differente rispetto agli anni precedenti, Al-Attiyah ha sottovalutato questo aspetto e lo ha pagato a caro prezzo.

Peterhansel e Boulanger, invece, sono stati perfetti proprio nella strategia. A fine gara il 14 volte vincitore del rally raid ha usato parole forti nei confronti di Al-Attiyah, ma ha spiegato bene il momento in cui sia stata decisa questa edizione del rally che si è tenuto in Arabia Saudita per il secondo anno di fila.

 

"Noi quando non vinciamo, non piangiamo. E' solo una questione di ego. Se Al-Attiyah avesse un ego leggermente differente, avrebbe potuto vincere la Dakar. Il suo ego lo ha spinto al punto in cui voleva vincere il Prologo. Penso sia stato proprio quel momento in cui ha perso la gara", ha dichiarato Peterhansel senza troppi giri di parole.

Al di là del parere autorevole di Peterhansel, il momento chiave della gara è stata davvero la prima settimana. La vittoria di tappa del francese del team MINI X-Raid è stata solo la ciliegina su una torta a un piano solo, senza vette né ornamenti vistosi, ma che, come spesso accade, a colpire chi l'assaggia è il gusto. E, francamente, è proprio questo l'aspetto che conta e che, tornando alla Dakar, ha visto Peterhansel sopraffare Al-Attiyah. La forza della pazienza.

La navigazione tarpa le ali a Sainz

 

Il podio finale è stato completato da Carlos Sainz. E, forse, la vera sorpresa della gara non è certo quello di trovarlo sul podio, ma il distacco che ha accumulato dai due rivali per la vittoria. Il madrileno del team X-Raid ha chiuso la corsa staccato di u'ora e 57 secondi. Un divario che rispecchia molto bene le difficoltà incontrate dal vincitore dell'edizione 2020 della Dakar.

Partito per confermare la vittoria del 2020, Sainz ha illuso, facendo bene nel Prologo e nelle prime 2 tappe, tanto da issarsi subito in testa alla classifica. Dalla Tappa 3, però, la musica è cambiata. Si è passati da una hit estiva travolgente a un fado portoghese. A far crollare Sainz, al di là del numero di forature che lo hanno penalizzato, è stata la navigazione.

Lucas Cruz, navigatore di Carlos che nelle passate edizioni è stato uno dei segreti dei successi dell'ex pilota del Mondiale Rally, quest'anno è stato uno dei fardelli più grossi. Cruz, assieme a Sainz, hanno interpretato male il roadbook nella prima settimana di gara, tanto da far perdere loro oltre un'ora e 20 in appena 3 tappe consecutive. Il risultato è stato impietoso: subito tagliati fuori per la vittoria finale.

La seconda settimana, invece, per Sainz e Cruz è stata decisamente più positiva. L'equipaggio del team MINi X-Raid ha iniziato a mantenere costantemente il ritmo dei migliori, portandoli a fine gara a vincere 3 tappe e a risultare il secondo equipaggio più vincente in questa edizione della Dakar dopo Al-Attiyah-Baumel. Il ritardo dai migliori è rimasto invariato, e questo dice tanto sulla seconda settimana svolta dai vincitori uscenti.

Ecco perché a fine gara Sainz non ha nascosto il rammarico per non aver fatto un buon lavoro nella navigazione, per aver faticato nella comprensione del roadbook. A parte qualche critica all'organizzazione proprio legata a questi aspetti, Carlos è stato il solito signore, sottolineando i propri demeriti in questo terzo posto buono, ma che lascia in lui e nel navigatore Cruz un sapore amaro.

Bahrain Raid Xtreme, gioia (Roma) e dolore (Loeb)

 

Un progetto affascinante, ambizioso, nuovo di zecca. Prodrive ha reso tangibile un pensiero stupendo: realizzare una vettura per dare l'assalto alla categoria Auto della Dakar. Tutto ha trovato forma e materia al via di questa Dakar, con l'impiego delle due Hunter da parte del team Bahrain Raid Xtreme.

A conferma delle ambizioni del team non arriva solo uno sponsor importante, ma anche due equipaggi a dir poco di lusso, anche se per motivi differenti. La punta di diamante, Sébastien Loeb, e il sempre solido Nani Roma. Una line up perfetta per puntare a prestazioni e a fare tanti chilometri per continuare a sviluppare una vettura nuova di zecca.

Le ambizioni alte, almeno da parte di Loeb, sono andate in contrasto con una serie di disavventure, sfortune ed errori che il 9 volte iridato WRC ha visto di rado nel corso della sua folgorante carriera. Forature, guasti, rotture di sospensioni e clamorosi errori di valutazione degli strumenti di bordo a sua disposizione lo hanno fatto sprofondare subito negli abissi della classifica, sebbene sia stato autore di un inizio di gara convincente.

Loeb ha anche trovato il modo di puntare il dito contro i commissari di gara, rei di avergli dato una penalità di 5 minuti non consona per aver valutato male l'accaduto. In realtà i commissari di gara, attraverso un comunicato impietoso, hanno dimostrato come non solo la penalità inflitta all'alsaziano fosse corretta, ma hanno anche sottolineato come Loeb non avesse letto, né capito bene a cosa servissero determinate strumentazioni, né la loro funzione. Una magra figura per un pilota come Loeb.

Nani Roma, invece, ha seguito l'esempio di Peterhansel: zero sussulti in classifica nelle 12 tappe, ma un sorprendente quinto posto assoluto nella classifica generale finale. Lo spagnolo non è mai apparso in Top 5 nel corso delle due settimane di gara, almeno per quanto riguarda le classifiche di tappa. Poi, però, la somma dei suoi tempi e la sua regolarità gli hanno regalato un clamoroso quinto posto che ripaga gli sforzi del team e permetteranno a Prodrive di portare a casa dati fondamentali per sviluppare la Hunter in vista della prossima edizione della Dakar, quando gli obiettivi del team dovranno essere necessariamente più alti di quelli avuti quest'anno, nell'edizione d'esordio.

Finalmente Przygonski: è lui il miglior privato

 

Veloce, lo è sempre stato. Spesso, anche troppo. Nelle ultime edizioni della Dakar, Jakub Przygonski si era sempre segnalato per risultati eccellenti, abbinati a errori che ne compromettevano la classifica generale e, spesso, spezzato i sogni di arrivare al termine delle 2 settimane di gara.

Quest'anno, invece, abbiamo avuto modo di ammirare un pilota diverso. Finalmente più maturo e consapevole dei propri mezzi. Zero vittorie zero di tappa. Per chi conosce Przygosnki, potrebbe apparire una vera delusione. Poi, però, c'è un risultato pesantissimo che va a fare da contraltare all'assunto che abbiamo scritto poco fa: si tratta del quarto posto nella classifica finale delle Auto nella 43esima edizione della Dakar.

Un grande risultato per il polacco, che anche quest'anno non ha preso parte alla gara selezionato da un team ufficiale. "Kuba", così lo chiamano gli amici, si è presentato al via con il team Orlen (suo sponsor) Overdrive, al volante di una comunque competitiva Toyota Hilux. Questo è bastato per centrare una grande Top 5, ma anche per risultare il miglior pilota "privato" di questa edizione della Dakar, lato Auto.

La costanza ha fatto la differenza, e sembra scontato sottolinearlo in una gara come la Dakar. Ma non lo è affatto se ricordiamo il Przygosnki degli ultimi anni. Il quarto posto finale, anche se staccato di oltre 2 ore dal vincitore, è un premio meritato per una gara fatta sempre nelle prime posizioni, impreziosita da una parte centrale eccellente che lo hanno portato a chiudere con grande merito alle spalle dei tre piloti accreditati per la vittoria finale, con la ciliegina sulla torta di aver messo alle proprie spalle piloti ufficiali come, ad esempio, Giniel De Villiers.

Al Rajhi che non ti aspetti

 

6 vittorie di tappa per Al-Attiyah, 3 per Sainz, 1 per Giniel De Villiers e Stéphane Peterhansel. 10 tappe vinte da piloti ufficiali sulle 12 previste, compreso il Prologo finito nelle mani del qatariota della Toyota, secondo alla fine delle ostilità. Insomma, gli equipaggi più forti hanno anche i team più forti alle spalle che permettono loro di lottare per gli obiettivi più grandi possibili.

Ma la seconda settimana di gara ha presentato una grande e gradita sorpresa a tutti gli appassionati del rally raid tenutosi per il secondo anno consecutivo in Arabia Saudita: Yazeed Al Rajhi. Dopo diverse partecipazioni alla Dakar, il pilota saudita del team Overdrive - lo stesso di Przygonski - quest'anno ha letteralmente cambiato marcia.

L'uomo d'affari - suo vero impiego al di là del pilota nei rally country - ha debuttato alla Dakar nel 2015 con un ritiro. Da quel momento ha inanellato un 11esimo posto assoluto nel 2016, ha saltato la Dakar nelle edizioni 2017 e 2018, però si è ripresentato nel 2019 finendo settimo assoluto. Il miglior risultato lo ha ottenuto l'anno scorso, con il podio sfiorato avendo chiuso quarto.

Arrivato con alte aspettative a questa Dakar, Yazeed ha subito dovuto riporre i suoi sogni di gloria (per lui, di podio) a causa di un guasto sulla sua Hilux verificatosi nelle prime tappe. Riuscito a chiudere la prova dopo l'aiuto dell'assistenza, da quel momento Al Rajhi ha aumentato il suo passo, arrivando a vincere ben 2 tappe: la numero 8 e la numero 10, che lo fanno diventare il terzo pilota più vincente di questa edizione a livello di scratch.

Per Al Rajhi una bella soddisfazione, anche se la sua vera mira era terminare nuovamente la gara in Top 5, possibilmente lottando per il podio. Quest'anno non c'è riuscito, ma ha mostrato velocità e capacità di adattamento al nuovo sistema di navigazione e alle nuove regole legate al roadbook. Qualora dovesse presentarsi al via della 44esima edizione del rally raid che si terrà ancora in Arabia Saudita, sarà uno dei principali candidati per la Top 5 e, forse, anche per il podio.

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